Domenico Falconi, detto il Moeto, nacque a Marola il 26 gennaio 1791, primogenito del capitano Agostino e di Manfroni Maria. Sappiamo che la sua attività originaria era quella del navigante, e precisamente comandante di navi mercantili: ne abbiamo conferma in una lettera conservata al Museo Navale della Spezia (n. 4216 di reg.) datata agosto 1823, in cui si chiede una scorta militare per un convoglio di tre navi trasportanti marmi destinati alla corte di Francia tra le quali vi è la goletta La Clementina, comandata dal cap. Domenico Falconi. Il primo atto certo dell’attività di Domenico Falconi come cavatore di marmo è datato 8 ottobre 1832: si tratta del contratto con cui Domenico Falconi fu Agostino, negoziante, nato ed abitante in Marola, prende in affitto da Michele Sturlese fu Giovanni Battista, padrone marittimo, nato ed abitante in Portovenere, la terra boschiva sull’isola Palmaria nella località detta Zigorella, per eseguire “scavazioni” di marmi di qualunque specie. Il canone è di centesimi venti per ogni palmo cubo di Genova, da pagarsi all’atto dell’imbarco dei marmi. Sappiamo inoltre con certezza che Domenico pochi anni dopo coltivava un’altra cava sull’altro versante della Palmaria, di fronte al paese di Portovenere, nella località oggi detta “Carlo Alberto”. Questa denominazione infatti, anche se pochissimi spezzini e portoveneresi ne sono a conoscenza, deriva da un’iniziativa ingenuamente autocelebrativa di Domenico Falconi, forse spinto dal figlio Agostino. Il 4 agosto 1837 la cava in questione ebbe l’onore di essere visitata dal re di Sardegna, Carlo Alberto; in memoria di tanto onore Domenico eresse l’anno successivo, e precisamente il 2 ottobre 1838, una nicchia contenente il busto del re in marmo bianco e una lapide commemorativa in latino (vedi Agostino Falconi, “Sea-turn about the gulf of Spezia, 1846, Baccelli e Fontana, Lucca) che termina con la frase : Dominicus Falconius filiique Augustinus et Joseph tanto patri et principi aeternum monumentum aerigendum curarunt. Nella monografia ” La Spezia e la sua provincia” (C.C.I.A.A. La Spezia, 1964) nel capitolo dedicato allo sviluppo industriale Gio Batta Rosa scriveva : “fu nella prima metà del secolo XIX che questa industria ebbe un notevole sviluppo, con apertura di cave sui monti Castellana, Coregna, S.Croce e Muzzerone; a Portovenere, alla Palmaria, al Tino. Nel 1862 sempre secondo il Caselli, che cita il Cappellini, le cave aperte erano trenta. Fra queste quella che merita una particolare citazione per la sua importanza e per la sua continuità è quella gestita dalla ditta Domenico Falconi, denominata Cava Castellana, presa in affitto dal Comune della Spezia nel 1836 ed ancora oggi in piena e rigogliosa attività. Sulla Rassegna Nazionale, fascicolo 1° gennaio 1904, fu pubblicato l’articolo “Il Marmo Portoro di Portovenere”, a firma Carlo Caselli, ove si legge: “la cava più importante, la sola lavorata continuamente e, forse, l’unica che non lasci dubbi sulla ricchezza del banco, è quella conosciuta col nome di cava della Castellana, aperta sul dorso nord-est del monte omonimo, detta anche cava Falconi, dal nome dei signori Falconi della Spezia che l’apersero e la coltivano ancora. Con atto del notaro Vincenzo Zappa, del 13 dicembre 1836, Domenico Falconi, nonno del vivente Domenico, prendeva in locazione dal comune della Spezia la cava di Portoro della Castellana”
Nel 1838 Domenico coltivava quindi almeno cinque cave, due sulla Palmaria e tre sulla Castellana (due in affitto dal Comune e una di proprietà); in una o più impiegò come capo cava un cavatore di Bedizzano (nei pressi di Carrara) di nome Pietro Biggi, cui diede in moglie una delle proprie figlie, di nome Gaetana. Domenico Falconi ebbe un’altra figlia femmina e due maschi, Agostino e Giuseppe. Agostino Falconi, il primogenito, era uno strano personaggio: letterato, pessimo poeta, membro degli Arcadi e della Società Ligure di Storia Patria, capace di scrivere correttamente in inglese e in francese, appassionato di archeologia. Morì il 24 febbraio 1882, senza moglie né figli. Per quanto riguarda Giuseppe Falconi, gli unici atti in cui figura protagonista sono relativi alla cava di rosso Levanto denominata Rossola, il 13 ottobre 1857 e 5 giugno 1860 (all.4); morì abbastanza giovane, il 9 marzo 1863, poco dopo il padre Domenico, deceduto il 22 gennaio 1863. La moglie Luigia Maggi non gli sopravvisse a lungo, e morì il 29 agosto 1867; la nota del 12 dicembre 1867 è firmata “per gli eredi di Luigia vedova Falconi, Domenico coerede”. Giuseppe e Luigia ebbero sei figli, tre maschi e tre femmine: Domenico (1844-1932), Agostino (che morì in giovane età), Costantino (1849-1900), Zella (1857-1910), Laura (? – 1923) e Placida (1862-1915). I fratelli Domenico e Costantino iniziarono presto a lavorare nell’azienda di famiglia, in particolare Domenico (detto Meneghin per distinguerlo dal nonno omonimo: è il vivente Domenico dell’articolo del 1904 sopra citato). Tre note contenute nel registro sopra citato ci raccontano una storia abbastanza drammatica: nel 1862 Domenico ha 18 anni, e sono vivi sia il padre Giuseppe che il nonno Domenico; nel 1865 ne ha 21, sia il padre che il nonno sono morti, e lavora con la madre in azienda, anzi, dato il ruolo e la cultura estremamente casalinghi delle donne dell’epoca, è probabile che il peso dell’azienda fosse soprattutto sulle sue spalle. Quando firma la nota del 1867 ha 23 anni; anche la madre è morta, e alla responsabilità dell’azienda si aggiunge quella della famiglia: il fratello Costantino ha diciotto anni e probabilmente inizia ad aiutarlo, ma le sorelle sono bambine, la minore, Placida, ha solo cinque anni. Gli è rimasto lo zio Agostino, ma se l’immagine che ci è arrivata è veritiera, ben poco aiuto poteva riceverne. I due fratelli Falconi dopo qualche anno iniziarono ad acquistare le quote degli altri coeredi. Dopo aver riunito nelle proprie mani la proprietà dell’intera azienda, i due fratelli nel 1886 prendono come socio in tutte le cave della Castellana il cugino Zeffiro Biggi (figlio di Pietro Biggi e Gaetana Falconi), con una quota inizialmente di un sesto, poi di un quinto. La compagine sociale formata da Domenico Falconi, Costantino Falconi e Zeffiro Biggi (tutti nipoti del primo Domenico Falconi) e successivamente dai rispettivi eredi, rimarrà stabile per circa cinquant’anni. Negli anni successivi l’attività comune si estese nel 1887 alla cava di breccia di Coregna, e dal 1905 alla cava di portoro sull’isola del Tino, nella quale la proprietà era condivisa con le famiglie Faggioni e Ragghianti, mentre la coltivazione rimase appannaggio dei tre soci. Il 31 gennaio 1934 Giuseppe Falconi (figlio di Domenico), Mario e Lina Falconi (figli di Costantino), Cesare e Florido Biggi (figli di Zeffiro), regolarizzando una precedente società di fatto, costituiscono una società in nome collettivo sotto la ragione sociale “Società Domenico Falconi (cava Castellana) di Giuseppe, Mario, Lina Falconi e Fratelli Biggi”, iscritta al n° 399 del registro società presso il Tribunale della Spezia. Questa società, trasformata in società a responsabilità limitata, è l’attuale Domenico Falconi s.r.l., iscritta al Registro delle Imprese della Spezia al n° 00108880113 e tuttora in attività Quanto alla compagine sociale, l’ultima modifica risale al 1937, quando Giuseppe Falconi, travolto dal dissesto della Banca Falconi Castagnola, cedette la propria partecipazione a Mario e Lina Falconi e a Cesare e Florido Biggi. Tutti gli attuali soci sono discendenti diretti di Cesare Biggi, di Florido Biggi e di Lina Falconi, sposata Vatteroni (Mario Falconi morì, nel 1960, senza moglie né figli), e quindi tutti discendenti diretti del fondatore Domenico Falconi, nato il 26 gennaio 1791 e morto il 22 gennaio 1863.
Contratto datato 8 ottobre 1832: è il primo atto certo dell’attività di Domenico Falconi come cavatore di marmo